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It’s not the end of the world

ELI.B  Attualità   It’s not the end of the world

It’s not the end of the world

 

 

C’è qualcosa di profondamente distorto nel modo in cui l’opinione pubblica globale — e spesso anche quella europea — reagisce ai conflitti in Medio Oriente. L’indignazione selettiva, l’isteria mediatica a comando, il furore morale applicato a geometrie variabili rivelano più dei pregiudizi di chi osserva che della realtà stessa.

Dopo il 7 ottobre 2023, Israele ha subito un massacro in piena regola: centinaia di civili, giovani ragazzi in festa a un rave nel deserto, massacrati con una brutalità che non ammette giustificazioni né sfumature. È stato un attacco terroristico, vile e indiscriminato. Ma invece di un sostegno compatto, Israele si è ritrovata al centro di un tribunale planetario che pretende di giudicare ogni sua mossa, ogni risposta, ogni tentativo di difendersi da chi — apertamente — vuole la sua distruzione.

Nel frattempo, l’Iran, uno Stato teocratico che ha represso con violenza inaudita il dissenso interno — basti pensare alla carneficina delle donne che protestavano contro il velo obbligatorio — diventa, paradossalmente, il punto di riferimento di una parte del mondo anti-occidentale. Uno Stato che finanzia gruppi terroristici, fomenta instabilità in tutta la regione, sostiene regimi e milizie che calpestano i diritti umani con regolarità chirurgica, si ritrova quasi assolvibile, quasi “giustificato”, solo perché si oppone all’Occidente.

Eppure Israele — l’unica democrazia funzionante in quell’area, dove donne e uomini votano, manifestano, litigano, si difendono in tribunale — è accusata di “apartheid”, “genocidio”, “occupazione”, spesso da chi, ironicamente, tace di fronte a regimi in cui l’omosessualità è punita con la morte, la stampa è messa a tacere e le minoranze non esistono nemmeno sul piano giuridico.

Nel corso dei decenni Israele ha anche aiutato gli arabi, ha offerto cure nei propri ospedali, ha investito nella ricostruzione e ha cercato — nonostante tutto — interlocutori con cui avviare un dialogo. Ha perfino concesso autonomia e risorse a chi, troppo spesso, ha restituito bombe e odio. Ha cercato di spezzare il ciclo di vittimismo e delegittimazione, di proporre una visione diversa: pragmatica, laica, moderna. Ma tutto questo sembra sparire dal dibattito internazionale, ridotto a slogan e indignazioni a buon mercato.

L’Occidente, oggi più che mai, dovrebbe ricordarsi chi è davvero il nemico della civiltà liberale: non è uno Stato che difende la propria esistenza dopo un attacco terroristico, ma un’ideologia che nega la libertà, glorifica il martirio, impone il velo e incita alla distruzione dell’altro.